L’indulto Mastella: una cosa buona fatta nel peggiore dei modi.

Lettera aperta al mio amico Luca Vagnini 

Caro Luca,
scusami  se arrivo a risponderti con un po’ di ritardo. Ma arrivo…  Nel frattempo avrai certamente avuto modo di approfondire per altre vie il problema, e potrai mettere  a confronto queste mie opinioni con altre.

Qualche definizione
Cominciamo con qualche definizione: esistono sostanzialmente tre modalità di “remissione” della condanna nel nostro sistema penale:
L’amnistia, che estingue un reato,  il quale si ha per non commesso, con conseguente cancellazione della pena……..  (qualcosa di simile al perdono cristiano)
L’indulto, che non estingue il reato, ma si limita a ridurre la pena, annullandola se inferiore…. (trattasi, come si dice comunemente,  di uno sconto di pena).  Se posso attingere  ancora il Vangelo è come se  l’amministratore evangelico, chiamasse il detenuto e gli chiedesse: quanti anni devi scontare ancora? Dieci? Bene,  cancella e scrivi sette.
Infine c’è la grazia che, a differenza degli altri istituti, è individuale ed è prerogativa del Capo dello Stato su proposta del Ministro di Grazia e Giustizia. In questo caso ci sono anche due condizioni soggettive: il graziando deve aver dimostrato concreti ed inequivoci segni di pentimento e il provvedimento non deve essere contrario al sentiment delle persone offese.

Indulto Mastella
Ma veniamo a quello che chiamerò “indulto Mastella”.
E’ di tre anni,
Oltre a quelle detentive, riguarda anche le pene pecuniare,
E’ esteso a molti reati, compresi quelli più gravi di sangue (omicidio volontario), escludendone pochissimi, per lo più politici (terrorismo) e particolarmente aberranti (pedofilia ecc).
Interessa i reati commessi fino alla data del 2 (o 4 o 5… non ricordo bene, ma cambia poco) maggio 2006.
Si calcola che dai 12 ai 15 mila detenuti escano dal carcere, per effetto dell’indulto.

Voto di scambio
Ora qualche valutazione, del tutto personale, ovviamente, e che quindi vale quello che vale, anche se discende da profonde convinzioni che ho  radicato in quattro  anni di volontariato presso la  Casa di Reclusione di Fossombrone, periodo in cui ho anche seguito da vicino i problemi della giustizia.
La prima macchia dell’indulto Mastella è quella di discendere da ciò  che il Ministro Antonio Di Pietro ha chiamato un “voto di scambio” tra il Centro sinistra e alcune forze del Centro destra (Forza Italia e UDC). …… A dire la verità il nostro  Tonino nazionale ha parlato di “voto di scambio mafioso” ….. ma mi sembra eccessivo…. anche se ho voglia di ricredermi quando, nel blog di Beppe Grillo leggo i nomi dei parlamentari condannati in via definitiva, in primo grado, rinviati a giudizio o avvisati, e mi accorgo che sono ben superiori ai cento. ( Tra questi:  casi insospettati per reati insospettati, come quello dell’innominabile Vice Ministro dell’economia Visco che ha sulla propria fedina penale una condanna definitiva per abusi edilizi nella sua villa a Pantelleria … con tanto di vesti stracciate per i condoni edilizi…. Ma questo è un’altra storia… e – come dicevano le nonne – te lo racconterò un’altra volta).
Ebbene qual è stato questo voto di scambio? E’ presto detto: poiché per l’indulto in Parlamento serve una maggioranza qualificata, il Centro sinistra non ha esitato ad inserire tra  quelli “indultabili” i reati finanziari (falsi in bilancio vari, bancarotte di varia foggia: semplice, preferenziale, fraudolenta ecc.) e quelli contro la Pubblica amministrazione (corruzione, concussione ecc) molto graditi a FI e UDC, ma tutt’altro che sgraditi anche ad alcuni settori del Centro Sinistra, che non nomino per carità di patria ( vedi Consorte e furbetti vari).

Giustizialismo e perdonismo
Ma al di là di questo aspetto aberrante, io – e so di dire una cosa poco popolare tra i miei amici ergastolani (ma ne ho parlato anche con  loro, cogliendo paradossalmente, a volte, una maturità ben superiore a quella del Ministro) – credo che sia da approfondire e discutere  “in sé” il ricorso all’indulto. E’ un po’ – attenzione lo dico da volontario in carcere, che conosce molto bene il dolore di quel luogo –come gli abominevoli (per taluni partiti)  condoni tributari  o edilizi…. Forse l’ho detta grossa… ma, vi garantisco, ben conosco la differenza tra un “uomo” e un “vano” o una “dichiarazione dei redditi”….. e spero vivamente che questa affermazione risulti più chiara in fondo a questo intervento.  In  taluni casi, come in questo,  inoltre – quando lo si giustifica per risovere (per quanto tempo?) il problema del sovraffollamento delle carceri – la cosa rischia di essere  tragicomica. E comunque è sempre il segno di una sconfitta per un Paese e la sua classe dirigente, posto in essere per  rimediare ad un’altra sconfitta : dopo il “tutti dentro”: (prima sconfitta)  il “tutti fuori” (seconda sconfitta). Prima un furore giustizialista (ma attenzione! solo nei confronti dei poveri cristi, perché nei confronti dei potenti siamo ben garantisti) che ha portato Giancarlo Caselli (Magistrato, ex Direttore del DAP) a parlare di carcere come “discarica sociale”. In base a questo principio, secondo la scorciatoia più comoda e in nome della tanto evocata “tolleranza zero” scimmiottata dall’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, chiunque commetta un minimo reato deve andare direttamente in carcere.  Ora una tendenza di segno opposto: perdonista……….  che va bene, ma – io credo – se rispetta determinate condizioni.

Pene alternative al carcere
Il vero problema, secondo me, non è tanto quello dell’indulto, quanto quello delle misure di pena alternative al carcere, come il lavoro esterno, la semilibertà o l’affidamento ai servizi sociali, possibili in Italia grazie ad una legge tanto illuminata quanto poco attuata come la Legge Gozzini,  e rispetto alle quali   occorrerebbe un ulteriore sforzo creativo per incarnare, finalmente,  quel combinato disposto – come dicono i giuristi – tra l’articolo 27 della nostra Costituzione e il Capitolo 25 del Vangelo di Matteo. Ma questa è una misura più complessa, più impegnativa e meno sbrigativa dell’indulto, che  costringe ad un percorso progettuale che evidentemente non si ha la capacità o la voglia di fare. E allora tutti fuori, in attesa che i detenuti da 60.000 che erano e 45.000 che resteranno, nel giro di pochi anni a 60.000 torneranno, per poi scoprire che le carceri scoppieranno di nuovo e via con un altro indulto.

Un indulto non preparato
La conseguenza più grande dell’indulto che si manifesta in questi giorni (il provvedimento  ha avuto effetto dal 1° agosto) è costituita dal fatto che chi viene scarcerato, molto spesso non sa dove andare: o perché extra comunitario, o perché le famiglie non vogliono saperne e a casa non ci possono tornare o perché, semplicemente, dopo una vita in carcere, non hanno più quell’attrezzaggio minimo per vivere in un mondo che è profondamente cambiato rispetto a quando erano in  libertà. Conosco detenuti scarcerati  alle 11 di sera dal carcere di  Fossombrone con due euro in tasca, entrati quando non esistevano ancora i telefonini e, men che meno,  internet, e non in grado di consultare nemmeno un orario ferroviario…
Come  stupirsi quindi di casi (e titoli di giornali!) di detenuti nuovamente arrestati dopo qualche giorno dalla loro liberazione o che hanno chiesto di rientrare in carcere? Il mondo del volontariato che pure avrebbe avuto qualcosa da dire in questa direzione non è stato minimamente consultato né allertato e solo oggi il  Ministero cerca di correre ai ripari convocando  la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia ( a cui aderisce anche Un Mondo a Quadretti) stanziando qualche fondo per l’accoglienza dei detenuti rimasti in strada…. La Conferenza del volontariato ha profondamente stigmatizzato questa situazione sollecitando il Ministero a:
sostenere il volontariato carcerario,
finanziare strutture di accoglienza esterne al carcere volte al reinserimento degli ex detenuti (utilizzando i risparmi che l’indulto ha operato nel sistema carcerario),
rifinanziare la Legge Smuraglia, che concede sgravi contributivi alle aziende che assumono detenuti ed ex detenuti,
emanare un decreto d’urgenza (di competenza del Ministero dell’interno) per gli extra comunitari sprovvisti del permesso di soggiorno e che usufruivano di lavoro esterno, i quali,  per un perverso effetto della Bossi-Fini, una volta scarcerati, vanno espulsi entro cinque giorni.
suscitare  misure di emergenza  da parte dei Comuni, nei confronti dei detenuti scarcerati e rimasti in condizione di particolare disagio.
Tutte queste cose  andavano fatte sei mesi prima e non sei giorni dopo.

Papa Giovanni Paolo II
Mastella ha dedicato questa legge a Giovanni Paolo II, perché nel corso della sua storica visita al Parlamento italiano, durante la scorsa legislatura, aveva chiesto un gesto di clemenza nei confronti  i detenuti. Che Mastella abbia  inteso male o si sia montato la testa e abbia capito: “un gesto di Clemente?” A parte gli scherzi, in ogni caso, io credo che il Santo Padre qualcosa da ridire l’avrebbe avuta….. Ma va bene così e Un Mondo a Quadretti, nel suo piccolo, cercherà di dare una mano! Peccato per l’occasione perduta!
Ciao Luca. Grazie per la tua  richiesta. Fino a quando giovani come ti si porranno problemi come questo, il mondo non perderà la speranza….

Giorgio Magnanelli

1 comment to L’indulto Mastella: una cosa buona fatta nel peggiore dei modi.

  • Donnini Walter

    Non voglio fare particolari commenti, ma semplicemente complimentarmi
    con il sig. Giorgio Magnanelli per la chiarezza e la semplicità con la quale è riuscito a spiegare questo “benedetto” indulto Mastella.
    Per aiutare il confronto e magari per approfondire questo tema, mi permetto
    solo di sottoporvi un articolo dal titolo “L’ economia dell’ indulto”
    di Luigi Foffani.

    Complimenti ancora.
    Donnini Walter
    Lucrezia

    Approvato dalle Camere a larghissima maggioranza (per i provvedimenti di clemenza la nuova versione dell’articolo 79 della Costituzione richiede il voto favorevole dei due terzi di ciascun ramo del Parlamento), l’indulto è divenuto nei giorni scorsi legge dello Stato, comportando uno “sconto” sino a tre anni per le pene detentive e sino a 10mila euro per le pene pecuniarie, a beneficio di tutti coloro, già condannati o meno, che abbiano commesso reati fino a tutto il 2 maggio 2006.
    Si tratta di un provvedimento lungamente atteso e che trova il proprio fondamento nell’esigenza di sfoltire l’ormai cronico sovraffollamento delle nostre carceri e di evitare l’ingolfamento della macchina giudiziaria, oltre che nella necessità contingente di non deludere le aspettative che si erano da tempo create all’interno della popolazione carceraria.

    Nessuna selezione

    Se questa doveva essere (ed effettivamente è) la ragion d’essere dell’ indulto, logica avrebbe voluto che si adottasse un provvedimento selettivo, incentrato su quelle tipologie di reati e di autori (tossicodipendenti, immigrati clandestini, eccetera) che effettivamente affollano le carceri e le aule giudiziarie. Viceversa si è imposta una misura clemenziale sostanzialmente indiscriminata, dai cui benefici rimane esclusa solo una ristretta cerchia di reati di particolare gravità e circondati da un forte allarme sociale, quali quelli legati alla criminalità organizzata e di stampo mafioso, al traffico di stupefacenti, al terrorismo nazionale e internazionale, ai reati sessuali e al traffico di esseri umani.
    La prima impressione è quella di un’iniziativa legislativa affrettata e poco meditata. Sorprende, in particolare, il fatto che l’indulto sia destinato a estendersi anche a quei reati tipicamente espressivi delle più gravi forme di criminalità economica (corruzione e concussione, reati societari e fallimentari, reati finanziari, tributari, in materia di sicurezza del lavoro e di protezione dell’ambiente, e così via), rispetto ai quali non sussiste alcuna delle ragioni che giustificano il provvedimento di clemenza: non sono certo i reati economici quelli che sovraccaricano le scarse risorse umane e materiali della giustizia penale, né sono gli autori di tali reati quelli che compongono – salvo rarissime quanto clamorose (e comunque sempre di breve durata) eccezioni – la popolazione carceraria italiana.
    L’estensione dell’indulto ai reati economici non è però soltanto un provvedimento inutile per l’alleggerimento del carico giudiziario e penitenziario, ma è anche una misura gravida di pesanti conseguenze negative, in termini di perdita di efficacia e di credibilità dello strumento penale in materia economica.
    La concessione dell’indulto per tale categoria di reati non farà che portare acqua al mulino di tutti coloro che, da varie sponde, ripetutamente affermano la sostanziale inutilità e inefficacia dell’intervento penale in materia economica, sostenendo l’opportunità di una depenalizzazione degli illeciti economici e il ricorso a un sistema di controlli e sanzioni di natura esclusivamente civile e amministrativa. Si tratta di un orientamento che – nonostante il suo sbandierato appello a principi di matrice garantistica – va invece contrastato con fermezza, per ragioni non certo ideologiche, ma eminentemente pragmatiche: di fronte alla comprovata e perdurante insufficienza dei controlli civili e amministrativi, è difficilmente confutabile che, in Italia, l’unico efficace baluardo contro le più gravi forme di criminalità economica a danno dei risparmiatori e del mercato sia a tutt’oggi rappresentato dal diritto e dalla giustizia penale, alla cui peculiare efficacia deterrente non sembra possibile, in questa fase storica, rinunciare. La recente esperienza dei casi Cirio e Parmalat, nonché la rovente estate vissuta lo scorso anno dal sistema bancario, sono purtroppo lì a dimostrarlo.

    Un fenomeno sottovalutato

    Della gravità e attualità del fenomeno della criminalità economica in Italia, la legge di indulto appena varata dal Parlamento non sembra invece avere adeguata consapevolezza.
    Particolarmente grave appare la situazione che si è venuta a creare nei confronti delle ipotesi di falso in bilancio e in comunicazioni sociali, previste dai nuovi articoli 2621 e 2622 del codice civile: all’indebolimento del controllo penale conseguente alla riforma dei reati societari del 2002 – paragonata giustamente a una depenalizzazione di fatto – viene ora ad aggiungersi la concessione dell’indulto. Il risultato sarà un sostanziale azzeramento del controllo penale sulla veridicità e trasparenza dell’informazione societaria, a dispetto della rilevanza primaria di tale oggetto di tutela (affermata anche dalla Corte di giustizia delle Comunità europee) e della dichiarata volontà politica di restituire dignità e spessore all’intervento penale in questa materia.
    La contraddizione è talmente stridente e clamorosa, che persino l’ex-ministro guardasigilli della passata legislatura ha avuto buon gioco nel rilevare con ironia che il nuovo Governo di centrosinistra, dopo aver per anni accusato la vecchia maggioranza di aver depenalizzato il falso in bilancio, non trova ora di meglio che estendere agli autori di tale reato i benefici dell’indulto. Se poi dovesse risultare che questo sia stato il prezzo politico da pagare per ottenere il voto favorevole all’indulto da parte del maggior partito di opposizione, allora si dovrebbe amaramente constatare una sorta di paradossale reviviscenza della nefasta stagione delle leggi ad personam, che si auspicava estinta con la fine della XIV legislatura.
    Qualunque sia il retroscena politico , certo è, comunque, che l’indulto per i reati finanziari non rappresenta il miglior viatico per questo inizio di legislatura sul campo minato della politica del diritto e della giustizia penale. Dopo i guasti legislativi e le roventi polemiche del quinquennio appena trascorso, ci si sarebbe invece aspettati su questo terreno un’iniziativa governativa e parlamentare di ben altro spessore. Viceversa, già in sede di formazione della compagine governativa, non sembra essersi tenuto adeguato conto della gravità e serietà del problema della giustizia in Italia: non è qui in questione la figura politica e la qualità dell’attuale guardasigilli, tuttavia sarebbe stata auspicabile un’assegnazione del ministero della Giustizia secondo criteri analoghi a quelli seguiti per il ministero dell’Economia, ossia con la ricerca di una personalità tecnica di riconosciuta indipendenza e prestigio, individuata sulla base di un preciso “progetto giustizia”, del quale invece non si vedono a tutt’oggi le tracce.
    Dobbiamo augurarci, sinceramente, che lo scetticismo e il pessimismo di oggi possano venire presto smentiti dai fatti.

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    Nome: Luigi
    Cognome: Foffani
    Carica/Posizione: Collaboratore
    Curriculum: E’ professore straordinario di Diritto penale nell’Università di Modena e Reggio Emilia, dove insegna Diritto penale e Diritto penale commerciale nella Facoltà di Giurisprudenza. Laureato nell’Università di Bologna (1984), ha conseguito il dottorato di ricerca nell’Università di Firenze (1988-1992) ed è stato ricercatore nell’Università di Catania (1993-2000) e professore associato nella stessa Università di Modena (2000-2005). E’ autore di circa un centinaio di lavori scientifici, con una particolare specializzazione nel campo del diritto penale dell’economia e dell’impresa, con pubblicazioni in Italia, in Germania e in Spagna. Ha svolto attività di ricerca in Germania e Spagna; professore visitante in Spagna e Francia. Ha svolto attività didattica in diversi master nazionali ed internazionali. Ha collaborato a diversi progetti di ricerca e di riforma, in campo nazionale ed internazionale, fra i quali un gruppo di ricerca, coordinato dal prof. K. Tiedemann, per l’armonizzazione del diritto penale dell’economia in Europa. Dal 1999 è corrispondente per l’Italia della Revista penal, per la quale cura la parte italiana della rubrica Sistemas penales comparados. Dal 2003 è segretario generale aggiunto della Société internationale de défense sociale.

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