Risposta all'assessore Mancinelli

I GIOVANI DI BENE COMUNE RISPONDONO ALL’ASSESSORE MANCINELLI

L’assessore era intervenuto sul nostro sito per replicare all’articolo “Quale cultura per la nostra città?”. Per leggere l’intervento dell’assessore Mancinelli potete cliccare qui

Gentile assessore Mancinelli,

Innanzitutto la ringraziamo per il suo intervento. E’ un ringraziamento sincero, non di prassi Il suo intervento non ha solo il merito di aprire spiragli di comunicazione tra istituzioni e società civile, non solo denota una scelta di attenzione alle opinioni altrui –allo stesso modo era in suo potere ignorare le nostre opinioni e lasciarle passare via -. Ma soprattutto ci propone un dibattito alto, anziché una risposta convenzionale, ce ne offre una problematica, appassionata.

Non ci soffermiamo sulle sue considerazioni sulla paternità del comunicato. Lei ci dà la possibilità di parlare di cultura e sarebbe un peccato perderci in altri discorsi. Inoltre siamo più che convinti che i nostri nomi in fondo la persuadano definitivamente sulla nostra esistenza in carne ed ossa!(anche se ci rimane oscuro per quale motivo qualcuno si sarebbe dovuto appropriare dello pseudonimo “Giovani di Bene Comune”)

Gli stimoli che lei ci offre meritano un’attenta considerazione, anche se ci paiono viziati da un principio di incomprensione delle nostre parole. La nostra intenzione di sfuggire le risse tematiche era ed è autentica. Invece la sua risposta in alcuni tratti sembra volerci portare a tutti i costi dentro la contesa – al punto che ci viene il dubbio se a dividerci sia poi in primo luogo una visione della cultura diametralmente opposta. Lei in più passi ci propone una sorte di dialettica della contrapposizione, un conflitto dall’esito necessariamente escludente: Passato vs Futuro, Dostoevskij Vs Tombari (o Vitruvio), Emozione Vs Studio, Appartenenza ad un Luogo Vs Ecumenismo. La proposta culturale che intendiamo fare alla città e a lei è invece di non risolvere il conflitto, ma di affiancare i termini, di lasciarli coesistere. E’ forse questa la grandezza della cultura: accettare il conflitto solo come compresenza, come dialettica irrisolvibile degli opposti, come fattispecie eternamente aperta che sa accogliere le diverse manifestazioni culturali senza gerarchizzarle. E’ perciò per noi ozioso (e spesso è stato assai nocivo) costruire barricate e arrovellarsi in impossibili gerarchie tra i possibili temi da trattare. Anche perché questo approccio li castiga in spazi ristretti che ne soffocano l’ampio respiro (Lei stesso ci offre una definizione di Bellezza, non angusta, non rinchiusa in uno stereotipo, ma dialogante con altri temi – dialogo che poteva tranquillamente svolgersi all’incontrario . E la figura stessa del principe Miskin non incarna forse (ma senza esaurirla!) una Bellezza dilatata al punto da renderla quasi indefinibile? Non è egli forse anche l’uomo tollerante per eccellenza, l’uomo che tenta di allearsi al buono che trova nell’altro, l’uomo della com-passione – e la memoria corre alle struggenti parole sulla condanna a morte- che interroga con la sua esistenza una società odierna che si rinchiude – questa è vera chiusura – di fronte alla diversità?).

Le nostre proposte volevano alleare la Bellezza che emerge dai romanzi dostoevskjiani con altre possibilità che la città offre. Ma non voleva affatto annullare la lettura pubblica dell’Idiota nella cornice, molto bella, del Palazzo Castracane (e perché mai avremmo dovuto volerla!). Anzi, non vedremmo neanche così male affiancare l’istante dell’emozione, il momento in cui il romanzo e l’autore parla al cuore di tutti (momento certamente prioritario) con un’occasione di approfondimento e di studio (una scuola dostoevskjiana pluriennale sul modello magari della Scuola di Pace della Caritas. Oppure dell’estiva scuola dantesca di Ravenna)

Allo stesso modo fatichiamo a capire per quale motivo lei contrappone l’universalismo all’appartenenza ad una città. Appartenenza che non è campanilismo, chiusura fanatica, ma consapevolezza del luogo in cui ci si trova ad intrecciare una parte più o meno lunga della mia vita. Questo senso di appartenenza riguarda inevitabilmente tanto chi nasce che il forestiero che viene per abitare. A noi pare semmai che ogni città dovrebbe avere una visione strabica: un occhio “miope” rivolto a sé e a ciò che le appartiene e uno presbite, rivolto al mondo. E’ qui che radichiamo la nostra visione ecumenica ovviamente non limitata alla sola cultura – una delle più belle eredità lasciateci da La Pira .

Allo stesso modo la nostra proposta di attenzione al passato non doveva essere vista in un’ottica di sostituzione. Non era l’apice di un triangolo, ma semmai il principio di un triangolo rovesciato – o meglio di un estuario. La riscoperta del passato è “chiusura” solo se accartocciata su se stessa (e se qualcuno può essere annoiato del rivedersi negli stessi luoghi, altri possono emozionarsi, sentendoli nuovamente rivivere e altri ancora che li conoscono da poco possono provare piacere nel vederli apparire sotto un’altra  luce. La memoria può generare una Bellezza autentica, non esistono regole valide per tutti). Ciò che è decisivo è l’occhio con cui si guarda il passato. Anche l’Idiota è un libro del passato. Sarebbe un errore ritenerlo un libro che non ha un tempo anziché un libro che ha attraversato i tempi . “I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letterature che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura e nelle culture che hanno attraversato, scriveva Calvino nel suo celebre articolo. E più avanti continuava, rendendo perfettamente l’idea della compresenza tra temporalità e atemporalità in essi presente:per poter leggere i classici si deve pure stabilire “da dove” li stai leggendo, altrimenti sia il libro che il lettore si perdono in una nuvola senza tempo.”

Così se vi è il rischio di un uomo richiuso vi è anche il rischio di un uomo sradicato contrapposto al proprio passato e scagliato nel futuro in un volo di Icaro. Ugualmente ciò vale per una città: una città matura deve tanto recepire nuovi stimoli ed essere occasione di nuovi incontri quanto essere custode di memorie (soprattutto perché se non lo sarà, nessuno lo farà al suo posto).

Ed a noi non pare che la nostra città abbia un rapporto solido con il passato. Possiamo sbagliarci, è vero. Ma è evidente che la nostra preoccupazione nasce da una esigenza avvertita. Il legame con il passato della nostra città abbiamo cominciato a ricostruircelo da noi, partendo da mozziconi di frasi racimolate qua e là. Siamo però persuasi, e speriamo di sbagliarci, che non sia solamente una nostra deficienza e che oggi pochi siano i giovani che abbiano un’idea del proprio passato cittadino (soprattutto umano).

Ciò detto non possiamo limitarci a sovrapporre un dibattito sulla cultura a un dibattito sulle politiche culturali. Le due cose, pur senza essere indifferenti, non sono coincidenti. E nelle politiche culturali ciò che per noi più conta non è il tema trattato, ma la qualità della proposta, la partecipazione della società civile alla sua progettazione, la sua potenziale trasversalità (cosa che poi scaturisce quasi spontaneamente dal secondo punto). Lei ci dice che la sua proposta ha una progettualità e un metodo. Non conoscendoli è assai difficile per noi giudicare. La nostra sensazione è stata ed è tuttora di una proposta certamente non priva di fascino, ma estemporanea, figlia di un’improvvisazione che tante cose ci facevano e ci fanno sospettare. Se non è così ne siamo sinceramente lieti. Il nostro consiglio (un sogno?) è però di arrivare a concedere al terzo settore e a quella parte della società civile più sensibile se non di intervenire nella progettazione delle politiche culturali (punteremmo troppo alto!) almeno di avere uno spazio in cui poter condividere il progetto (valore aggiunto per il progetto stesso, in quanto lo rende depositario di più esigenze e miglior antidoto contro i bisticci delle consorterie che tendono spesso a spartirsi la magra coperta dei finanziamenti)

Non possiamo infine nasconderle la sensazione che la cultura a Fano sia stata troppo bistrattata negli ultimi anni. Le nostre perplessità sulle politiche culturali della giunta Aguzzi 1 sono tante. Lei non le condividerà, ma la cosa oggi poco importa. E’ invece per noi fondamentale che ora lei si faccia promotore di un confronto costante tra istituzioni e società civile. E dall’altro faccia valere, con ben altra lena rispetto agli anni passati, la necessità di un’esigenza culturale nell’amministrazione di una città (e questo anche da un punto di vista economico). Esigenza che seppur difficilmente intasa il casello in entrata e in uscita rappresenta il patrimonio spirituale più importante che una città si possa dare.

Con stima

I Giovani di Bene Comune: Roberta Ansuini, Luigi Bertozzi, Alessio Fattorini e Marco Labbate.


Commenti

Una risposta a “Risposta all'assessore Mancinelli”

  1. Avatar Franco Mancinelli
    Franco Mancinelli

    Dato il clima di dialogo e la complessità e articolazione della risposta, continuo senz’altro il confronto. I vostri nomi non saprei collegarli a dei volti ma siete ammirevoli per capacità di analisi e impegno civile e culturale. (Sto prendendo tempo perché gli spazi che questa volta offrite alla replica sono molto più risicati). L’impressione generale è che abbiate corretto il tiro perché rischiavate degli autogol clamorosi e, credo, neanche meritati. L’accentuazione della contrapposizione passato vs futuro ecc., che mi attribuite, e che magari era presente nella mia prima risposta, era dovuta alla necessità di sintesi e di chiarezza: per significare, in poche parole, le implicazioni sottese alle scelte. Così, ad esempio, anche voi estremizzate il discorso quando parlate di rischio di “uomo rinchiuso” o di “uomo sradicato”. E’ vero, invece, il contrario: che nonostante le scelte, almeno per quanto mi riguarda, e per le iniziative sino ad ora intraprese, la scelta non è mai totalizzante, lo spettro è ampio: l’11 dicembre ci sarà un incontro alla Sala Verdi dal titolo “Rileggendo Fabio Tombari” e il 12, “Murum dedit”, per i duemila anni delle mura romane e molte altre iniziative, l’anno prossimo, continueranno a rispondere agli interessi più disparati. Ma questo non deve farci scivolare verso l’opinione alla quale sembrate propendere, di non fare scelte e, per usare le vostre stesse parole, “accettare il conflitto solo come compresenza, come dialettica irrisolvibile degli opposti, come fattispecie eternamente aperta che sa accogliere le diverse manifestazioni culturali senza gerarchizzarle”. Una politica culturale, per essere tale, deve fare delle scelte, deve porsi delle priorità, e pur offrendo la più ampia cittadinanza, distingue, taglia e dà pesi minori o maggiori, non volendo crea gerarchie. Credo che l’importante sia l’esistenza di un progetto condiviso, che è stato elaborato nelle linee programmatiche dell’Amministrazione e che è in via di perfezionamento. Voi dite di non conoscerlo, vi inviterei, invece, a leggerlo e a confrontarci su quello, perché si può correggere e migliorare ma è un buon punto di partenza. L’accusa di estemporaneità avanzata senza conoscere non vi fa onore. Della scuola di cui parlate non ho ragguagli. Riguardo al senso della storia dei giovani, avrei cose da dire e progetti da realizzare. Non è facile affrontare tanti argomenti e non rischiare l’approssimazione e la confusione. Mi piacerebbe, poi, rispondere sui classici, sulle riletture dei classici o dei moderni nei modi di “Letteratura come vita” di Carlo Bo. Ma ci sono anche richieste in assessorato per iniziative di esoterismo, magia, conoscenza del futuro. E allora, forse, i problemi sono altri. Ad maiora
    Con simpatia, Franco Mancinelli.
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