SHOCK ECONOMY – di Giorgio Magnanelli (dall’ultimo numero del Il Pungiglione)

Dopo “La Casta” è in questi giorni in libreria un altro libro destinato a creare scalpore, anche se, probabilmente non ne avrà la stessa tiratura né la stessa diffusione. Si tratta di Shock Economy, di Naomi Klein…… sì, proprio lei, quella di “No logo”. E’ un libro di economia, ma di un’economia particolare: quella che riparte da zero, dopo che qualche mano, compresa quella divina, ha pensato bene di fare tabula rasa dell’esistente. Ed è esattamente questo che hanno in comune le fattispecie esaminate dalla Klein: dall’economia irakena dopo l’invasione americana a quella dello Sri Lanka dopo lo tsunami o a quella di New Orleans dopo la visita di Katrina.
Il filo conduttore è dato da una monotona declinazione di quella che è ormai universalmente nota come “Scuola di Chicago”, fondata negli anni settanta da Milton Friedman, teorico e guru dell’ultra liberismo capitalista, secondo cui uno shock, non importa se provocato da un cataclisma ambientale, dalla guerra o dal terrorismo, può (deve) essere trasformato in una opportunità da cogliere per scelte che in condizioni ordinarie ben difficilmente si sarebbe potuto concepire.
E così dopo il disastro di New Orleans un illustre membro del Congresso americano ha potuto dichiarare che sì, l’uragano Katrina aveva fatto un po’ di casino, ma “ siamo finalmente riusciti a ripulire il sistema delle case popolari di New Orleans. Noi non sapevamo come fare ma Dio l’ha fatto per noi”. Fu lo stesso Milton Friedman -chiamato “zio Miltie” dai suoi estimatori, così come un’intera generazione di abruzzesi ha chiamato e chiama Gasperi “zio Remo”- benché novantatreenne e ormai moribondo, trovò le energie per scrivere un editoriale per il Wall Street Journal, affermando più o meno questo: “La maggior parte delle scuole di New Orleans sono in rovina, i bambini sono quasi tutti dispersi, ma ora potremo finalmente riformare il sistema educativo”. E parte dei miliardi di dollari destinati alla ricostruzione furono dirottati a convertire le scuole di New Orleans in scuole private, anzi in “scuole charter”, come le chiamava il vecchio Milton. Dopo lo tsunami il governo dello Sri Lanka si rammaricò, giusto il tempo di seppellire i morti, del fatto che molti pescatori erano deceduti e che i superstiti molto difficilmente avrebbero potuto ricostruire le loro case vicino al mare, per guardare subito al futuro, e constatare che “la natura ha offerto allo Sri Lanka un’opportunità unica e da questa grande tragedia può sorgere un importante polo del turismo internazionale”, consegnando l’intero litorale a imprenditori desiderosi di costruire villaggi turistici. Che fatica, e che noia sarebbe stato allontanare migliaia di pescatori dalle loro case.
Gli episodi si sprecano: la guerra delle Falkland consentì alla Thatcher di soffocare con estrema durezza gli scioperi dei minatori; i bombardamenti Nato di Belgrado crearono le condizioni per avviare le privatizzazioni nella ex Yugoslavia; l’11 settembre sembra aver concesso a Washington via libera per esportare ovunque e senza chiederne il permesso, il liberismo più selvaggio.
Ma dopo 530 pagine di desolante denuncia delle infinite shock economy della storia recente, a sorpresa, il libro si chiude con un forte accento di speranza, proprio a partire dagli episodi incriminati. Ad esempio in Thailandia, a differenza dello Sri Lanka, centinaia di villaggi, dopo lo tsunami, furono ricostruiti nel giro di pochi mesi, e non perché i governanti birmani fossero più illuminati, ma perché i pescatori indigeni intrapresero quella che chiamarono la “reinvasione” della terra. La chiave del successo – secondo la Klein – fu che la gente “negoziò i suoi diritti sulla terra da una posizione di occupazione”. Una delegazione di sopravvissuti di New Orleans, un anno dopo Katrina, visitò proprio le ricostruzioni tailandesi e tornata a casa organizzò subito squadre di costruttori locali e di volontari per ripulire, ricostruire, riabitare…. “rioccupare” le loro proprietà. Un tratto comune unisce questi ed altri esempi: chi decide di ricostruire le case, non sta riparando edifici ma sta ricostruendo se stesso. Anche questi movimenti – conclude la Klein – come la shock economy, nascono dalle macerie, “prendono ciò che è rotto e lo aggiustano, lo rafforzano, lo rendono migliore e più equo. Ma soprattutto, accumulano resistenza per quando arriverà il prossimo shock”.


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